Giovannone posa il boccale di birra e scruta l’orizzonte, lo sguardo torvo, il respiro pesante.
“Ora che non posso più sfogarmi allo stadio, non è più la stessa cosa.”
Lo guardo distrattamente. “Cos’hai combinato?”
“Insulti ed aggressione a pubblico ufficiale. Dovresti saperlo; in Volevamo essere cattivi ma non ci siamo riusciti mi hai descritto abbastanza bene.”
“Benvenuto nel club”, commenta Duthiannen. “Hai mai letto Il settimo zaffiro? A momenti mi giustiziavano per alto tradimento.”
“Ho avuto anch’io i miei problemi”, tento di giustificarmi. “Qualcuno è entrato nel mio computer, ha cazzeggiato con Bitcoin e roba simile, e mi sono beccato un anno e quattro mesi. Siamo tutti fuori con la condizionale.”
“Sì, anche noi”, ammettono tranquillamente Luca ed il Duca, come se nulla fosse.
“Stessa storia di Giovannone”, precisa il Duca.
“Dilettanti”, considera con distacco Luca. “Sentite qua: detenzione a fini di spaccio. Per sfangarla ho dovuto cantare, ho spedito tre spacciatori dietro le sbarre, ed ora i loro amici mi cercano. Questo i libri non lo dicono.”
Valeria si guarda attorno, spaesata. “Sono l’unica ad uscirne incensurata?”
“No, siamo in due”, sono le parole di Mauro Postulo. “Non mi hanno mai beccato, nonostante ne abbia fatte di tutti i colori. Resta il fatto che occorre cambiare aria. Non sei un vero architetto se non viaggi, capite? Il mio non è solo un mestiere…”
“È una religione, lo sappiamo”, gli rispondiamo in coro.
Dopo una breve pausa, osservo ad uno ad uno i personaggi dei miei libri.
“Dunque che si fa?”, butto lì timidamente.
“Sai benissimo cosa fare”, risponde Duthiannen in tono materno. “È solo che hai paura di farlo.”
Abbasso lo sguardo. “Lo so. A voi posso dirlo, ragazzi: ormai ho paura di tutto.”
“Lascia un attimo da parte la paura”, suggerisce il Duca. “Se non avessi paura, ora cosa faresti?”
Sospiro. “Un bel bagno al mare. Però sono stanco di tuffarmi dagli scogli, come facciamo a Trieste. Vorrei una vera spiaggia, con la sabbia e tutto il resto. Senza troppa gente tra i piedi, possibilmente.”
Mauro mi sorride. “Penso che in Sardegna ti troveresti bene.”
“Ci siamo stati in vacanza il Duca ed io!”, esclama Valeria. “Un posto incantevole.”
Il Duca è perplesso. “Gente strana i sardi, però. La loro cultura è piuttosto diversa dalla nostra.”
Giovannone lo osserva minaccioso. “Che significa?”
“Hanno strani formaggi puzzolenti, vivono ancora di pesca ed allevamento, e credono di discendere da un popolo di navigatori.”
“Loro sarebbero i navigatori?”
Giovannone si guarda attorno, come alla ricerca di consensi. “Dico di invaderli.”
Silenzio. Scambio di occhiate imbarazzate tra i presenti.
Luca si sistema gli occhiali da sole. “Non abbiamo altra scelta”, mormora freddamente, “se vogliamo un posto dove tornare a delinquere in santa pace.”
“Ho dei contatti in quell’isola”, rincara Giovannone. “Siamo gemellati con un paio di squadre di calcio. Ci prepareranno il terreno.”
“Forse esiste una via più diplomatica”, prova a controbattere Duthiannen. “Avete mai letto Giunta di notte?”
La guardiamo esasperati. “Ancora?!”
“D’accordo, d’accordo!”, concede la mezzelfa. “Procurerò dei guerrieri.”
Carbonia.
“Ci siamo quasi”, annuncia Luca, alla guida del suo motoscafo. Segue un flottiglia di gommoni carichi di ultrà, accorsi alla chiamata di Giovannone.
“Mi raccomando, gente!”, arringa l’indomito leader delle tifoserie triestine. “Musi lunghi, basso profilo, aria da cani bastonati! Dobbiamo sembrare dei profughi indifesi!”
La spiaggia brulica di persone, forze dell’ordine incluse.
Motovedette sarde giungono ad intercettare il convoglio, impedendone lo sbarco.
“Identificatevi!”, urla una voce al megafono. Ad un cenno di Giovannone, alziamo le mani e rimaniamo in silenzio, mentre i rapidissimi velieri di Porto dei Cigni ci raggiungono, capeggiati da Duthiannen e carichi di soldati travestiti da viandanti.
È l’arcimaga a prendere la parola. “Siamo stanchi e sporchi!”, esclama, facendo gli occhi dolci. “Ci servono cibo e riparo.”
L’ufficiale della Guardia Costiera è perentorio: “Non potete sbarcare. Il Centro diurno di Carbonia è già pieno zeppo.”
“Arma segreta!”, ordina Giovannone.
A quelle parole, apriamo i sottovuoto portati da Trieste. Nel giro di pochi secondi, un intenso ed irresistibile aroma si sprigiona dalle nostre imbarcazioni.
“Cos’è questo profumo?”, ci interroga l’ufficiale.
“Si chiama jota”, tento di spiegare. “È il nostro cavallo di Tro… il nostro regalo per il nobile popolo sardo.”
Sospettosi, i militari accostano lentamente, armi in pugno.
Consegniamo diligentemente i contenitori, dopo averne assaggiato il contenuto sotto i loro sguardi indagatori.
Dopo qualche tentennamento, i sardi ci imitano.
“Vi avevamo scambiati per invasori”, è il commento dell’ufficiale. “Invece siete dei cuochi… come possiamo aiutarvi?”
“Non abbiamo più una casa!”, lamenta Valeria.
“E nemmeno un posto dove preparare zuppe, capo in b e prosciutto in crosta”, aggiunge il Duca.
L’ufficiale osserva la sua scodella di jota, poi annuisce.
“Non sia mai che un sardo neghi il suo aiuto a donne in difficoltà e brava gente disposta a sfamarlo. Contrordine!”
Aiutate da gruppi di tifosi sardi spacciatisi per volontari, le Forze dell’ordine stanno sgomberando il centro diurno. Agli ospiti, spaventati ed allarmati, viene somministrata della jota onde riportarli a miti consigli.
“Vi troveremo un lavoro!”, li rassicura Duthiannen, con tutta la diplomazia di cui è capace.
“Ed io vi costruirò un nuovo centro”, promette Mauro, gli occhi che brillano di una nuova luce.
“Copriti le orecchie a punta”, raccomando a Duthiannen. “Devi sembrare una triestina.”
“Triestina patocca”, si ripromette l’arcimaga. “Viva lo spritz! Viva il capo in b!”
“Visto che roba?”, fantastica Mauro, osservando dall’esterno la nostra futura base operativa. “Lì potremmo metterci una staccionata, poi il cortile andrebbe ridisegnato…”
“Sì, però ricordati che non siamo venuti qui per insegnare l’architettura ai sardi”, lo redarguisco sottovoce. “Quello che stiamo facendo è l’inizio di una sostituzione etnica.”
“Hai ragione. Prima la Sardegna, poi l’Italia e poi…”
“È solo questione di tempo”, interviene Giovannone, osservando determinato i preparativi per il nostro insediamento. “Venderemo jota a prezzi stracciati. Apriremo osterie in franchising in tutta l’isola, ci costruiremo un lavoro ed una posizione. Ci infiltreremo a poco a poco nella loro società, sposeremo le loro donne ed i loro uomini, e tra qualche anno nasceranno i primi triestini trapiantati. Le loro scuole dovranno rivedere i programmi educativi, e col tempo diventeranno le nostre scuole. Allora saremo pronti per la soluzione finale.”
Lo guardo preoccupato. Conosco i miei personaggi, e so bene fin dove sono disposti a spingersi.
“Soluzione finale? Non vorrai mica sterminarli tutti?”
“No, dobbiamo convertirli. Una volta che i nostri figli e nipoti si saranno formati nei loro istituti, troveranno la formula per il vaccino anti-Sardegna. Tutti dovranno essere vaccinati per poter mangiare la jota nelle nostre osterie, e la bandiera alabardata verrà innalzata in tutta l’isola.”
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