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Nella tela del ragno

 


Mentre lavoro alla prima stesura de “L’Arcimaga” mi rendo conto che, se voglio addentrarmi nuovamente nel torbido sottobosco dell’editoria, degli alleati potrebbero far comodo; così decido di contattare un tale con cui ho collaborato anni prima, uno pieno di contatti e contanti, per sottoporgli la bozza. 
Non appena ci incontriamo dice di essere lui a cercare me, e non il contrario. Sono settimane, dice, che sfoglia vecchie agende alla ricerca del mio numero, e non certo per un romanzo fantasy. Si tratta di qualcosa di molto più vasto, molto più fruttuoso. Un progetto a lungo termine per il quale ha già calcolato tutti i dettagli, ma se voglio farne parte devo tenermi la curiosità fino al prossimo incontro. 
Lo conosco, è uno che non ama svelarsi, così accetto di recarmi a mie spese fino a una nota località del Trentino, dove attualmente risiede. Tra ville da favola e ristoranti mi sorbisco quarantotto ore di riunione in tre giorni, durante i quali mi illustra una serie di iniziative editoriali su carta e online, in diverse lingue, per le quali sono già pronti editori, finanziatori e traduttori. 
Manco soltanto io. 
Sembra quasi troppo bello per essere vero, e in effetti lo è. 
Me ne rendo conto all’incontro seguente, dove mi presento con la prima bozza di un manuale di autosviluppo da lui pensato, che, grazie al supporto di un famoso editore nazionale, ci farà entrare nelle case di tutto il Paese come i nuovi Batman e Robin del self coaching. 
Peccato che il progetto sia già stato del tutto annullato, dice, per tutta una serie di contrattempi che un ragazzino come me (già articolista, correttore di bozze, consulente editoriale e copywriter) non può assolutamente capire.
Meglio passare alla fase seguente del lavoro, che consiste nel fargli da social media manager per cercare di vendere un suo libro rimasto da anni negli scatoloni, in cambio di un migliaio di euro al mese senza contratto.
È solo a quel punto che comincio a intravedere un grosso cetriolo in rotta di collisione col mio lato B, ma mi dico che forse, anziché concentrarmi su un romanzo fantasy autoprodotto, potrebbe essere meglio accettare l’incarico, dal momento che il personaggio in questione mi ha sempre pagato. Magari in nero e un po’ in ritardo, ma ha pagato. 
Terzo incontro: dieci ore consecutive di riunione in un centro commerciale con il capo e un web master, nostra vecchia conoscenza, famoso per la sua affidabilità. 
Mi dico che se c’è anche lui, qualcosa di serio in questo lavoro dovrà pur esserci, così mi sforzo di seguirli mentre acquistano un dominio web dopo l’altro, aprono dozzine di account e fanno brainstorming contemporaneamente. È un massacro, ma mi assicurano che sto andando benissimo e come anticipo merito una pizza. 
Il webmaster si defila tutto contento, io salgo in macchina col capo e la sua morosa e la tensione si scioglie. Si inizia a scherzare su questo e quell’autore, ed a un certo punto butto lì una battuta su uno scrittore divenuto milionario per aver dichiarato che le mandorle sono più sane dei cheeseburger. 
Peccato che costui sia l’idolo indiscusso del capo, in quanto capace di costruire un impero basato su banalità già note in tutto il mondo, ed io non avrei mai dovuto permettermi. 
Da questa battuta si evince che sono un bambino, un arrogante, un incompetente e non merito il lavoro. 
Cerco di fargli capire che stavo solo scherzando, ma è inutile. 
Entrati in pizzeria, mi sforzo di assaggiare qualcosa con un magone alla gola, ma i due iniziano a insultarmi ad alta voce davanti a tutti. 
Dovrei piantarli lì e andarmene all’istante, peccato che siamo in Friuli e non ho idea di come tornare a casa. 
Vengo insultato incessantemente per due ore fino alle lacrime e al panico, senza quasi riuscire a mangiare nulla, poi mi vedo costretto a risalire sulla loro auto, altrimenti non riuscirei a raggiungere la più vicina stazione ferroviaria. 
A quel punto si rasenta l’horror: il boss rimane voltato verso di me, minacciandomi di rovinarmi la vita e la carriera, e spinge a tavoletta sull’acceleratore lungo una statale semibuia, mentre alle mie spalle la sua compagna sghignazza. 
È come in quella scena di Collateral, quando al tassista girano gli zebedei fino alla Luna, solo che in questa non sono sicuro di avere a che fare con degli esseri umani; mi scuso a più riprese e giuro che farò qualunque cosa purché tengano gli occhi sulla strada
Non vogliono saperne. Per miracolo non finiamo fuori strada, dopodiché il pazzo inchioda davanti alla stazione ed è solo grazie alla cintura di sicurezza che non voliamo oltre il parabrezza. A quel punto mi afferra per il colletto e ricomincia a urlarmi in faccia. 
Con una mossa disperata lo spingo, sgancio la cintura e schiudo la portiera del tanto che basta a sgusciare fuori dall’auto, e fuggo a gambe levate mentre mi ordinano di tornare indietro perché non hanno ancora finito con me. 
Salto sul primo treno per Trieste e torno a casa sotto shock.
Dopo qualche giorno il mostro annulla l’intero progetto ed io finisco in analisi. 
Almeno sono ancora vivo.

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