In passato, esisteva la pratica della damnatio memoriae, un metodo utilizzato per cancellare dalla memoria collettiva il nome e le gesta di criminali. Questo approccio serviva a prevenire la perpetuazione di crimini esecrabili, ostacolando l'esaltazione di figure negative. Un ragionamento semplice, ma efficace, che spesso portava a risultati tangibili.
Oggi, però, sembra che i ragionamenti semplici siano diventati obsoleti. La società si complica, e con essa anche la nostra economia. Si percepisce un paradosso: il razzismo e la discriminazione non solo persistono, ma offrono opportunità di "creazione di posti di lavoro". Infatti, il lavoro viene spesso visto come la soluzione a problemi che, ironicamente, si potrebbero evitare. Questa logica contorta porta a una crescita del PIL, inteso non come indicatore del benessere reale ma come semplice riflesso del denaro speso.
Se oggi ricevo una denuncia, il PIL aumenta, mentre se il mio post passa inosservato, non contribuirò alla "crescita". È un ciclo di inefficienza che tutti conoscono, ma che si preferisce ignorare per comodità. Questa situazione è simile a quella degli anni '40, quando molti sapevano cosa stava accadendo, ma giustificavano le loro azioni con la scusa del "lavoro è lavoro".
La differenza? All'epoca, la disobbedienza comportava gravi conseguenze, mentre oggi si rischia di essere messi da parte per aver obbedito a norme che non riflettono i nostri valori. È ora di affrontare la realtà e rompere questo ciclo per costruire un futuro migliore, lontano da razzismo e ingiustizie.
Riflettiamo su come possiamo contribuire a un cambiamento positivo nella nostra società, promuovendo l'uguaglianza e il rispetto, e ripensando ciò che consideriamo crescita e progresso. Solo così possiamo veramente migliorare il benessere collettivo e non limitarci a un aumento del PIL.
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